Galletto ripieno alla Gordon Ramsay

gordonDopo aver guardato (con grande interesse e soddisfazione) il corso di cucina di Gordon Ramsay, trasmesso in tv (se non ricordo male lo scorso inverno), da RealTime, ho deciso di comprare il libro: “In cucina con Gordon Ramsay “. Sapevo di non sprecare soldi, anzi.

In cucina con Gordon non è un semplice ricettario, ma un corso che, organizzato in diverse sezioni (classici, spezie, carne, pesce, dolci, cucinare per uno o due, ecc.) offre spunti e consigli utili dal punto di vista della tecnica culinaria, ma anche più in generale su come organizzare la dispensa, che strumenti di cucina ci sono indispensabili; e poi come acquistare la materia prima, pensare un menù per una cena con molti ospiti senza complicarsi la vita. Insomma, un libro utile e piacevole! Se fosse stato corredato dal dvd con la trasmissione tv (o almeno una selezione di alcune puntate), sarebbe stato perfetto. Infatti in trasmissione vi si trovavano una serie di consigli e insegnamenti, che nel libro non ci sono, per ragioni di spazio e agilità d’uso.

tr 151Naturalemente stiamo parlando anche di un ricettario. Le ricette sono davvero tante e tutte alla portata. Niente di complicato, soprattutto niente di pretenzioso, niente però neppure di banale. Anzi, vi si troverà un tocco esotico per le nostre italiche abitudini gastronomiche, che ci aiuteranno ad aggiornare il nostro repertorio di ricette, creando piatti d’effetto e gustosi.

Fin dalla visione della trasmissione, una ricetta mi aveva colpito: il pollo ripieno di Gordon, con salsiccia, fagioli cannellini e pomodoro secco. Contrariamente a ciò che si potrebbe credere, scegliendo i giusti ingredienti (intendo una salsiccia non grassa e gentile nel gusto), il piatto non risulta pesante, tutt’altro. Io ho deciso di rielaborarlo usando al posto del pollo dei galletti, e usando del lime al posto del limone di Gordon. Un esperimento sicuramente riuscito, molto buoni.

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Gnocchi con sugo d’agnello

tr 007Nonostante per me, da almeno due anni a questa parte, sia diventato impossibile trovare delle patate come si deve (più facile fare 6 al superenalotto), la domenica preparo gli gnocchi. Un rito, una piacevole consuetudine, un modo per santificare la festa. Una soddisfazione anche, in quanto con l’esperienza, sono riuscito ad ottenere ottimi risultati anche da patate che tutto sono tranne che ottime. Ma che fine hanno fatto le olandesi farinose? Quelle che paiono vecchie e bruttarelle, ma che in realtà sono formidabili per: gnocchi, crocchette, puré, sformati, frico, ripieni, per farle anche al forno (seppure ci sia chi sconsiglia di usarle) e chi più ne ha più ne faccia? Oggi le patate sono solo acquose, tanto, talvolta, da risultare (appena lessate o fatte al vapore) persino trasparenti!

  • Un consiglio, una patata così, per evitare di scinderne le molecole trasformandola definitivamente in acqua e basta, meglio schiaccirla calda con la forchetta.
  • E soprattutto: se si vuole uno gnocco più compatto è inevitabile aggiungere un uovo all’impasto (perché nella vera ricetta degli gnocchi le uova non sono previste), ciò lo rassoderà in cottura. Altrimenti la patata acquosa continuerà a “chiamare” farina, e noi in piatto ci troveremo poi uno gnocco che saprà solo di farina… oltre a rischiare di usarne 1 kg di farina per 1 kg di patate (roba da matti).

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as (17)Gli gnocchi mi piacciono conditi in tutti i modi, qui sono un ottimo primo per recuperare un avanzo di carrè d’agnello a fette, fatto a stracottino (con una punta di pomodoro, e di curry), un fondo abbondante di sedano, carota e cipolla tagliati a pezzi grossolani. Aromi dell’orto: timo fresco, rosmarino e origano sempre fresco.

Procediamo così: scaldiamo in una padella dell’olio (a piacere se di oliva o se più neutro, esempio mais o girasole, dato che già l’agnello ha un gusto marcato, e un olio di oliva troppo forte potrebbe risultare invadente; a mio avviso mai extravergine, ma scegliere un semplice olio di oliva gentile) e vi facciamo dorare le fette di carré, da entrambi i lati, bagniamo appena con un vino bianco corposo e secco. Facciamo evaporare l’alcool, quindi aggiungiamo rosmarino e la dadolata di sedano carota e cipolla. Facciamo stufare alcuni minuti e mettiamo poca, veramente poca salsa di pomodoro (non deve essere invadente) e qualche pomodoro ciliegino tagliato in quattro, timo ed origano freschi. Quindi un filo appena di brodo vegetale. Facciamo cuocere lentamente. Alla fine, se piace o se necessario per rassodare, un po’ di concentrato di pomodoro. Poi una grattata di pepe nero, e a piacere una presa di curry.

 

Coda alla vaccinara (de la sora romana)

Avete mai visto il programma di LA7 “Ti ci porto io” con Michela Rocco di Torrepadula e lo chef Giancarlo Vissani? E’ una trasmissione molto interessante nel panorama dei programmi della domenica mattina, che ci portano, appunto, a conoscere i tesori gastronomici (e non solo) del nostro splendido paese.

E’ proprio grazie a questa trasmissione che ho imparato come si fa la famosa coda alla vaccinara, che fa parte della tradizione romano-laziale, più che della mia veneta. Ma in realtà la componente principale nella preparazione di questa ricetta, è quella che caratterizza ogni eccellente piatto della nostra cucina: la semplicità! Semplicità che preserva il gusto dell’elemento principale, e lo esalta.

Non servono duemila ingredienti (io ripeto sempre: diffidate di quelle ricette che hanno un’infinità di ingredienti), la preparazione è semplice, basta solo pazienza, cura, amore.

Riporto qui la ricetta della signora, la sora, che in trasmissione la preparava (io l’ho leggermente elaborata, ma solo piccolissimi dettagli): su di un fondo di cipolla e sedano, adagiamo la coda a tocchi e la facciamo ben rosolare, bagnando poi con poco vino bianco. Facciamo ben cuocere aiutandoci con poco brodo (vegetale o di carne, a piacere, io ho usato il primo). Cottura prolungata e a fuoco lento, ci vorranno anche 4 ore. Verso la fine della cottura (ad 1 ora dalla fine) aggiungiamo della salsa di pomodoro (pomodoro fresco, cotto a parte). Servire con listarelle di sedano lessato.

… e sullo sformatino

Se la preparazione del soufflé risulta complessa, lo sformatino è più semplice, di sicuro più “controllabile”. Se il primo comporta una certa esperienza ed abilità tecnica, lo sformatino è più alla portata, ma la sua riuscita è ugualmente piacevole dal punto di vista estetico, specie se servito in monoporzione, fuori dallo stampino di cottura, con creme o salse che ne formino una base sul piatto su cui adagiare lo sformatino.

Anhce in questo caso possiamo scegliere come base l’elemento che più ci piace: funghi, ortaggi, formaggio, pesce o carne, ridotti in purea e poi addizionati con: o besciamella o formaggi freschi, come caprino, robiola, stracchino, ricotta. Parmigiano grattugiato e uova, ma in questo caso l’uovo è facoltativo, specie se vogliamo tenere la ricetta più leggera. Se usiamo l’uovo, questo va insertito intero nel composto (nell’ordine: la base, poi la besciamella o il formaggio fresco e parmigiano grattato, quindi, per ultime, le uova). Con l’uovo noteremo come anche lo sformatino tenderà a lievitare.

La cottura avviene in forno ben caldo, e a bagnomaria.

Le differenze tra sformatino e soufflé:

  • dal punto di vista del gusto sono entrambi eccellenti, differenti come compattezza e leggerezza, ma entrambi ottimi;
  • hanno diversa consistenza, lo sformatino ha densità più compatta, il soufflé invece lievitando è più volatile, quasi svuotato all’interno, di sicuro più leggero sotto tutti i punti di vista;
  • il soufflé richiede competenza tecnica, esperienza, calcolo preciso dei tempi di preparazione e poi di servizio (nel senso di portare a tavola il soufflé), al contrario lo sformatino è più semplice da preparare e da controllare.

(in foto, sopra, sformatini di erbette e stracchino)

Sul soufflé…

Come si sa la preparazione del soufflé risulta essere tecnicamente complicata, o quantomeno laboriosa. Il soufflé può essere dolce, e quindi servito come dessert, oppure salato, e perciò servito come antipasto.

Spesso se ne sottolinea l’effetto esteticamente piacevole una volta portato in tavola, il suo lievitare raddoppiando il volume  che è quasi un miracolo, ma la difficoltà sta proprio qui: appena uscito dal forno deve immediatamente essere portato ai commensali perché tende a sgonfiarsi piuttosto in fretta.

Ora, io mi sono sempre chiesto se ne valga la pena, se sia conveniente elaborare un piatto complicato (che ha molto più in comune con la pasticceria che non con la cucina), la cui perfetta riuscita può essere vanificata anche da un minimo inconveniente, tipo un ritardo nel servirlo.

Vediamo i soufflé salati, le cui caratteristiche sono:

  • i soufflés salati sono preparazioni composte da una base che può essere di: formaggio, ortaggi, pesce, carne, funghi, ridotti in purea e addizionati con, nell’ordine: besciamella, tuorli d’uovo, parmigiano grattugiato (facoltativo), albumi montati a neve;
  • l’elemento determinante per la loro riuscita è l’albume montato a neve ferma, che ingloba particella d’aria che poi gonfieranno in cottura;
  • la besciamella da aggiungere al composto base deve essere ben sostenuta, ossia molto densa! Può essere sostituita da formaggi freschi come stracchino o caprino.
  • le uova: importante che siano a temperatura ambiente. Altrettanto importante che gli albumi prima d’essere montati non abbiano parti di tuorlo; i tuorli vanno incorporati all’elemento base dopo la besciamella e uno per volta, mescolando bene;
  • Gli albumi saranno l’ultimo ingrediente ad essere unito al composto, mescolando con delicatezza attraverso movimenti dal basso verso l’alto, meglio se usando una spatola di legno;
  • i soufflé si servono nel contenitore in cui sono stati cotti;
  • vanno serviti immediatamente, o sgonfiano con rapidità;
  • prima di infornalrli, conviene sbattere (non troppo forte, chiaramente) gli stampini su di una superficie, in modo da far uscire eventuali bolle d’aria;
  • conviene inmburrare una prima volta lo stampino, metterlo 15 minuti nel congelatore, tirarlo fuori, re-imburrarlo e poi riempirlo con il composto del soufflé (per questa operazione consiglio di usare gli stampini di stagnola, che non temono shock termici tra il freddo del congelatore e il caldo del forno)
  • il forno deve essere pre-riscaldato a 200-220°C, una volta infornati i soufflé la temperatura va abbassata a 160-180°C e il forno non va mai aperto.
  • saranno cotti quando avranno raddoppiato il loro volume si saranno colorati in superficie.

(Sopra, in foto, i miei Soufflé di piselli, mentuccia e caprino, con besciamella all’olio di oliva)

Chi lo dice che non è buono?

Esistono dei pregiudizi in cucina? Certo, come in ogni altro campo, situazione, attività. Ci sono dei cibi che, a torto o a ragione, vengono considerati meno appetibili. Il pregiudizio in cucina può avere origine culturale: cibi che in certi contesti e luoghi si mangiano perché normali, mentre paiono assurdi in altri. Penso  alle moeche fritte, ossia i granchi piccoli con il carapace che diventa molle nel momento della muta, che a Venezia si friggono e si mangiano normalmente, ma di fronte ai quali alcuni turisti africani inorridirono, credendoli grossi ragni. Altro esempio: le meduse normalmente consumate in oriente e che a noi paiono un’eresia gastronomica. Il fegato, sempre veneziano, o le interiora in generale, che non incontrano lo stesso favore e benevolo accoglimento in altre parti d’Italia. La sogliola che non è pesce da venexian (considerato troppo nobile, un pesce da cittadino o, atavica diffidenza verso il potere e la ricchezza, da sìor: una volta il saòr a Venezia veniva fatto con le sardele per i poveri, con gli sfogeti – piccole sogliole – per i ricchi).

Ci sono poi pregiudizi di altra natura: non mangio un certo cibo perché mi fa impressione. Su tutti le lumache, che lungi dall’essere viscide una volta cotte – come invece si crede – risultano un piatto prelibato, ma richiedono un iniziale atto di coraggio per assaggiarle e dissipare ogni dubbio.

E poi ci sono quei pregiudizi che nascono dall’esperienza. Mangiare del petto di pollo cotto sulla piastra – ai ferri – o lessato è un cibo che fa storcere il naso. Associato a diete ferree, a cibo per degenti, a qualcosa di insipido. Ma è davvero così? Non lo credo. Nella pratica della cucina di tutti i giorni, sono convinto che cambiare, ossia preparare un menù che risulti variegato, possa costituire una pratica vincente sia a livello di salute, sia a livello di gusto, per evitare di stancarsi (persino la lasagna potrebbe stancare se mangiata ogni giorno, e così l’aragosta).  Pratica utile inoltre per allargare le proprie conoscenze culinarie, per mettersi alla prova, per essere creativi.

Perciò chi dice che un petto di pollo di qualità, lessato in acqua con sedano, carota, cipolla e odori a piacere, condito con una salsa e acccompagnato da verdure saltate in padella, non possa essere un delizioso piatto unico? In foto (sopra) petto di pollo lesso con la mia salsa tartara al basilico e paprika.

Inoltre un petto così lessato ci fornisce il brodo da usare, ad esempio, per cuocere dei cappelletti  (il brodo di pollo ha una decisa componente acida, lo ritengo perciò idoneo come base solo per limitati tipi di risotto), e con la carne che avanza, se avanza, possiamo preparare dei gustosi panini (provare il pane a sfilatino simil baguette, mescolando polpa di pollo sminuzzata con maionese e capperi, e due gocce di balsamico) da farcire a piacere. Oppure, possiamo ottenerne delle ottime polpettine, da friggere in olio di semi.

Cappellacci di zucca al ragù

Se si passa da Ferrara, non si può andar via senza aver assaggiato un piatto tipico locale: i cappellacci di zucca. Potete trovarli conditi al ragù oppure burro e salvia. I cappellacci sono dei grandi tortelli ripieni di zucca. Piatto che accomuna Ferrara e Mantova, seppure con notevoli differenze. Io che sono un purista e mi piacciono le cose semplici, preferisco i cappellacci ferraresi, piuttosto che i tortelli con la zucca mantovani. I mantovani infatti nel ripieno hanno anche amaretti e mostarda. Secondo la mia esperienza, la mostarda è una presenza che se inizialmente può stuzzicare, alla lunga stanca, appesantisce e confonde il gusto. Il cappellaccio ferrarese invece è fatto in purezza, solo zucca con una punta di noce moscata che esalta profumi e sapori.

La purezza del piatto però porta con sé una difficoltà tecnica non indifferente, infatti l’accompagnamento, il ragù, deve essere impeccabile, gustuso, buono, non unto, fatto con ingredienti di qualità, per poter far sì che il primo piatto sia una festa per le papille gustative. E, inutile dirlo, anche la zucca deve essere eccellente, non avendo alcun “aiuto” aggiuntivo per sostenere il sapore del ripieno (l’amaretto e la mostarda mantovani). Deve per forza essere gustosa. Ho provato molto a Ferrara e il cappellaccio perfetto si trova al ristorante da Noemi (qui il link), consiglio vivamente di mangiare in questo locale, e non limitarsi a provare solo i cappellacci (questa trattoria merita un post a sé, che scriverò, essendo una continua, piacevole, indimenticabile, scoperta).

Così anch’io credo di aver trovato un buon equilibrio nella realizzazione dei miei cappellacci ferraresi, da farsi in semplicità, e da condire con il ragù (qui quelli preparati da Monia e me) per soddisfare le voglie più golose, ma assolutamente da provarsi anche olio e salvia (questa è la mia maniera per mangiarli) per godere della purezza di un piatto tipico tra le centinaia che impreziosiscono i pasti del nostro bel Paese.

Ossobuco di maiale

Non è sempre facile riuscire a trovare l’ossobuco di maiale, per cui quando ho l’occasione la colgo al volo e lo cucino.

Ho preparato un fondo di cipolla, carota e sedano tritati, da far imbiondire in olio di oliva con qualche foglia di salvia e un odore di rosmarino. Al fondo ben stufato aggiungiamo gli ossobuchi leggermente infarinati, che a fiamma vivace faremo dorare, quindi bagnamo con vino (a piacere, non è da disdegnare neppure un corposo bianco, una variante interessante rispetto ad un generoso rosso che accompagna in genere la carne di maiale). Appena l’alcool sarà evaporato possiamo aggiungere funghi tagliati a lamelle non troppo sottili, e cuociamo con del brodo su cui avremo fatto sciogliere della passata di pomodoro. Sale e pepe, a piacere una punta di noce moscata o un chiodo di garofano, copriamo con un coperchio il tegame e facciamo andare a fuoco moderato. La cottura non sarà rapida, ci vuole il suo tempo, se l’ossobuco è grande anche 1 ora. Una spia per capire se l’ossobuco è cotto, è che la carne tenderà a staccarsi dall’osso.

Polenta d’obbligo per accompagnare.

In foto: non avevo voglia di mettere il pomodoro e ho cotto gli ossobuchi in bianco. In genere però non conviene, il pomodoro, in giusta proporzione (ossia senza esagerare), dona morbidezza alla carne, e offre un ricco intingolo da assaporare con la polenta.

Lonza di maiale

Oggi il maiale viene allevato in modo da risultare più magro rispetto al passato. C’è il suino pesante, per gli insaccati (ma anche per le braciole); ed il suino leggero con un peso non superiore ai 150 kg, e con uno strato di grasso di 2 cm di spessore, contro gli 8-10 del passato.

La lombata del maiale, detta anche carrè o arista, composta da filetto e lombo, quando viene disossata è detta lonza. La lonza è un taglio (relativamente) magro, e gustoso. Si può cuocere intera, oppure da usare per ricavarvi delle fette utili per molte preparazioni. Spesso accompagnate da intingoli ricchi a base di panna, formaggio, gorgonzola e noci, funghi, ecc.

La cottura non deve essere eccessivamente prolungata, per evitare che la carne si secchi diventando stoppacciosa.

Per alleggerire le classiche preparazioni, consiglio di cuocere la fetta di lonza con un filo d’olio (sale e pepe, aromi a piacere) e una riduzione di balsamico, magari da posare su di un letto di zucchine saltate in padella.

  • Un consiglio. La fettina di lonza può rappresentare un’ottima base per panini; il sontuoso si prepara così: doriamo in olio poca cipolla a fette sottili e lamine di funghi freschi e pochi funghi secchi; uniamo qualche pomodoro ciliegino a fettine, facciamo stufare appena, quindi aggiungiamo la lonza, sale e pepe. A cottura ultimata, ridurre il fondo. Scegliamo un pane con crosta secca e non troppa mollica, bagnamo quella poca mollica con il fondo di cottura, adagiamoci i funghi e i pomodorini, per ultima la carne. Un pasto veloce, un piatto unico, equilibrato e buono.

Possiamo inoltre preparare dei gustosi saltimbocca, variante rispetto a quelli fatti con carne di vitello. In questo caso la fetta deve essere molto sottile. Vi adagiamo sopra una fettina di crudo, e blocchiamo con uno stuzzicadenti aggiungendo anche una foglia di salvia. Cuociamo in poco olio di oliva, bagnamo con vino bianco. Cottura rapida su entrambi i lati. Serviamo con funghi e polenta.