Risi e…

Un appunto sulla cucina veneta. La cucina veneta annovera per tradizione molti piatti di riso che talvolta possono essere veri e propri risotti, e talvolta no, specie quando l’ingrediente principale è un ortaggio, o un legume. Probabilmente uno dei più noti, il famoso risi e bisi in effetti, e non a caso, non si chiama risotto di “bisi”, ossia di piselli, ma risi e bisi.

Sembra un’osservazione capziosa, o troppo sfumata, ma ha il suo perché. Risi e… è un termine che spesso da noi intende un piatto che si pone a metà tra il classico risotto e una minestra. Un primo che non deve essere asciutto e mantecato come un risotto, ma ben più liquido (un attimo di più anche del cosidetto: all’onda) che quindi si avvicina ad una minestra, da mangiarsi infatti rigorosamente con il cucchiaio. E questo vale per risi e…: bisi, verze, cavolo, finocchio, radicchi, zucca ecc.

Una distinzione tra risi e risotto che purtroppo sta andando a scomparire, anche nei ristoranti veneti, insieme a molti altri piatti e modi di fare alla “veneta” della nostra tradizione.

E questo temo stia avvenendo per quanto riguarda la cucina regionale italiana in genere. Spero di sbagliare, sarebbe un peccato. La tradizione è la nostra identità, è la base su cui costruire e rinnovare la cucina, avendo ben presente da dove si parte, così da poter capire fin dove si può arrivare.

Cus-cus integrale con verdure e feta

Del cus-cus ho già parlato qui. Stavolta ho voluto provare l’integrale. Ho acquistato al NaturaSì (catena di supermarket che vende cibo biologico, di cui scriverò in un altro post) un prodotto eccellente, che mi ha dato un’ottima resa. L’integrale, rispetto al cous cous normale, mi è parso più discreto nel sapore, nel senso che non ha prevaricato il condimento, sposandovisi in maniera eccellente, risultando meno gommoso, meno carico d’amido, di ottimo sapore. Chi abbia provato la farina integrale, o la pasta integrale (anche se in misura minore), sa che può risultare dolciastra al gusto. Questo non vale per il cus cus.

  • in questo post volevo focalizzare l’attenzione su di un metodo di cottura (suggeritomi dall’utile libro di Gordon Ramsay: “Un sano appetito”) del cus cus, che può arricchirne il sapore. Generalmente al cus cus, sgranato con un po’ di olio, si aggiunge dell’acqua bollente salata per farlo “cuocere”. Ebbene, perché non aromatizzare a piacere quest’acqua invece di salarla e basta? Perché non aggiungere odori e sapori che ci piacciono, e che si sposano con il condimento che andremo ad utilizzare per il nostro cus cus? (coriandolo, zenzero o limone per il pesce, alloro e pepe in grani per la carne, curry, basilico, prezzemolo per un cus cus alle verdure ecc.) Per il mio (in foto), condito con verdure miste saltate e feta fresco, ho messo nell’acqua rosmarino e succo di limone. Prima di versare sul cus cus ho filtrato le impurità.

Pansoti

Devo ammettere che i pansoti liguri non solo non li ho mai mangiati, ma non li ho neppure mai visti. Però ho trovato la ricetta ed ho voluto provare.

Ciò che più mi premeva, al di là di creare un piatto corretto e aderente alla tradizione ligure (ardua impresa da profano), era provare il tipo di pasta con cui i pansoti sono fatti. L’esperimento mi ha soddisfatto: farina 00 da mescolare e lavorare con un goccio d’acqua, del vino e sale. Si va ad occhio, l’importante è ottenere una pasta asciutta (ma non troppo) ed elastica che si farà riposare per 30 minuti prima di lavorarla. Direi di usare, per 200 g di farina, mezza tazzina (scarsa) di vino. Ho scelto del Pinot grigio, la cui punta di acidità e corposità mi allettavano.

Per il ripieno: ricotta, maggiorana, bieta (ma provate anche le coste, la parte verde della foglia), borragine (non sempre facile da reperire, bisognerebbe avere la fortuna di coltivarla nell’orto), parmigiano grattugiato, sale, 1 uovo facoltativo. Sbollentare bieta e borragine (questo farà perdere alle foglie della borragine il pelo), scolarle, strizzarle bene e tritarle. Unirvi gli altri ingredienti e amalgamare il tutto, unendo un filo d’olio di oliva se risultasse troppo compatto.

Tirare la pasta, non troppo sottile, tagliarla a quadrati, porvi nel centro una nocciola di ripieno, quindi piegare e chiudere formando un triangolo.

Il condimento tradizionale: ammollare nel latte delle fette di pane (carrè), quindi strizzarle un po’. A parte tritare aglio e noci, unirvi olio e parmigiano e amalgamare il tutto. A questo condimento unire un paio di cucchiai di acqua di cottura della pasta.

Io invece ho usato un sugo diverso, stufando un fondo di pomodoro secco, funghi, e funghi secchi. Al momento di saltare i pansoti ho aggiunto un po’ di acqua di cottura e del pane grattugiato (che si fa appena tostare a parte, o in forno o saltandolo in padella, attenzione a non bruciarlo). Un filo di olio a crudo e del prezzemolo tritato.

Il mio risotto allo zafferano

Prepariamo un fondo di cipolla bianca tritata, da far rosolare in olio di oliva. Appena si dora aggiungiamo pochissima acqua per farla ben stufare. Evaporata l’acqua aggiungiamo del riso carnaroli e, a fiamma moderata, lo facciamo tostare 1-2 minuti. Bagniamo quindi con della grappa di prosecco, senza esagerare, e ne facciamo evaporare l’alcool a fiamma sostenuta. Iniziamo ora ad aggiungere, un mestolo per volta, del brodo vegetale.

A metà cottura (in tutto ci vorranno 18 minuti) aggiustiamo di sale (solo se necessario) e mettiamo una punta di pepe bianco.

Quando mancano un paio di minuti a fine cottura, inseriamo lo zafferano e facciamo ben amalgamare. [Circa lo zafferano, esso può essere inserito anche all’inizio, quando inseriamo nel riso il primo mestolo di brodo, o a metà cottura]

Mantechiamo lontano dal fuoco con del parmigiano grattuggiato e dell’olio di oliva, mantenendo così un sapore più leggero rispetto alla mantecatura classica con burro; inoltre l’acidulo dell’olio ben si sposa con lo zafferano.

Lo zafferano è originario dell’oriente, ma si coltiva anche in Europa, specie in Italia (Abruzzo); è costituito dagli stimmi gialli essiccati dei fiori crocus sativus. In commercio se ne trovano di due varietà: “in filo” più pregiato e di migliore qualità; e quello in polvere. Generalmente il primo si usa direttamente sulla pietanza che stiamo preparando, il secondo si fa sciogliere in poca acqua tiepida.

Come una peperonata

Piatto tipicamente estivo, che a casa mia si è sempre preparato, fin da piccolo ne ricordo l’aroma e il sapore. Oggi lo preparo io, usando peperoni e melanzane. Ecco perché: come una  peperonata, oltre al peperone ci metto la melanzana.

Il piatto è veloce e saporito, un ideale accompagnamento per secondi di carne o pesce, ma buono da mangiarsi anche da solo, con fette di altrettanto buon pane (il pugliese è quello che preferisco), magari sporcate con olio di oliva.

Bisogna tagliare a pezzi piuttosto grossi peperoni (rossi, gialli e verdi – in foto: avevo in casa solo i rossi) e melanzane, perché altrimenti in cottura la verdura si spappola diventando un purè, il gusto poi non sarà più lo stesso. Prepariamo un fondo con cipolla bianca tagliata a fettine sottili, che faremo imbiondire in olio di oliva. Aggiungiamo la verdura a tocchi e un gambetto di sedano intero, ma di piccole dimensioni. Scottiamo le verdure in modo che rilascino la loro acqua, e proseguimo la cortura a fuoco basso aggiungendo, se necessario, poco brodo vegetale, magari un po’ per volta. Sale e pepe. Cottura lenta e prolungata, in modo che peperoni e melanzane risultino ben morbidi. Alla fine un giro generoso di olio di oliva. Se piace un’erba aromatica: prezzemolo e/o basilico tritati.

  • Il segreto per la riuscita del piatto sta certamente nella freschezza delle verdure usate (specie per la melanzana), ma soprattutto nella possibilità di reperire del sedano piccolo e gustoso, io ho quello dell’orto della nonna, fa fare un decisivo salto di qualità alla ricetta.

Fiori di zucca impanati

Per chi come me, fin da piccolo, è stato abituato a mangiare il fiore di zucca, dolce o salato, fritto con la pastella, questa ricetta rappresenta una variante piacevole ed insolita.

Il fiore di zucca deve essere trattato con attenzione, preparato e maneggiato con ogni cura perché è delicato. Togliamo i pistilli tagliando il fondo del fiore (lì c’è l’attaccatura alla pianta ed è coriaceo, specie se di fiore grande si tratta), e per pulirlo useremo un pennellino le cui setole passeremo delicatamente all’esterno, e all’interno dove possono esserci degli insetti. Niente acqua, altrimenti il fiore si rovina. Se i fiori sono grandi si possono dividere in due, tagliandoli dall’alto verso il basso. Li farciamo a piacere, ad esempio con: mozzarella, mozzarella e acciuga, mozzarella e pomodoro secco, mozzarella e foglie di basilico. Se si usa la mozzarella conviene farla scolare sotto la pressione di un peso, per farle rilasciare l’acqua in eccesso, presenza che disturba durante la frittura.

Ho imparato che:

  • la panatura deve essere fatta con uovo salato e sbattuto, allungato con del latte;
  • il pane grattuggiato deve essere di grana sottilissima, questo è decisivo per la riuscita del piatto, altrimenti ne otteniamo una panatura pesante e il delicato spore del fiore si perde;
  • la panatura non deve essere invadente, uno strato sottile, altrimenti il fiore perde di gusto;
  • naturalmetnte usiamo olio ben caldo!

Servire al naturale o con salse d’accompagnamento, come si preferisce.

La patata a buccia rossa

La patata a buccia rossa – e pasta gialla – alimento ricco di carboidrati, quindi fonte di energia, è un tubero molto gustoso. Per questa sua caratteristica si presta a molte preparazioni. Lo consiglio come farcia per paste ripiene, in torte salate, ottimo per frico, tortini o gateau. Ottima se fatta al forno, ideale per patate macario o duchessa. E’ senz’altro da provare. Essendo un ingrediente duttile sostituisce la patata comune, o quella olandese, in quelle ricette in cui vogliamo essere sicuri che la patata, in quanto elemento principale, sia ricca di sapore, così che il piatto non risulti sciapo.

Ma ha anche un seconda, e non trascurabile, caratteristica: la patata rossa si presta, molto più delle altre qualità, ad essere fritta.

Si trova tutto l’anno. Le principali zone di coltivazione sono: Veneto, Emilia Romagna, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia, Calabria e Sicilia.

Aprile e le Gemme di Primavera

La Primavera ci dona alcune primizie che possono rendere speciale un piatto.

Il luppolo selvatico (conosciuto nel Veneto come bruscandolo) ha forma di germoglio dal lungo stelo: si raccoglie tra marzo e maggio. I più grossi sono anche i più gustosi, a patto che siano freschissimi, altrimenti risultano coriacei. Si possono raccogliere fino a 20 cm di stelo (a partire dalla punta, recidere senza staccare la radice della pianta, ciò permetterà una seconda fioritura e successiva nuova raccolta). Ipocalorico e purificante; tonificante e rinfrescante. Combatte nausea e cellulite. Purifica il sangue e stimola le funzioni epatiche. Va consumato con ragione, senza esagerare. Cresce spontaneo lungo le rive dei corsi d’acqua, sui terreni dissodati e  fertili, spesso lo si trova arrampicato su reti e recinzioni. In cucina è ottimo per il risotto (specialità tipica veneta, di cui sperimentai, preparando i primi per un banchetto, una ricetta ribattezzata: risotto ai germogli di rovo, con bruscandoli e carne di quaglia), per torte salate, per frittate, per paste e paste ripiene, minestre, sughi ecc.

Il tarassaco: si trova da aprile a novembre, ha azione benefica sull’organismo: equilibra la flora batterica nell’intestino, purifica il fegato,  grazie alla presenza dell’inulina riduce il tasso del colesterolo e il numero dei trigliceridi, contrasta l’aumento della glicemia. Una sola controindicazione: sconsigliatoalle donne incinte o che stiano allattano. Ha potere diuretico e per questo viene anche chiamato: pissà’can, o pisci-a-letto. Può esere consumato crudo (in insalate), oppure cotto (brasato, risotti, paste e paste ripiene, frittate, torte ecc.), ricordando che se lo si bollisce, l’acqua di cottura si arricchisce di quei principi nutritivi propri della pianta. Di gusto leggermente amarognolo (a volte più intensamente amaro, altre è solo un sentore in sottofondo).

Mezzelune rosse, ricotta, tarassaco e cacio, con salsa alle erbetteMezzelune rosse: ricotta, cacio e tarassaco, condite con erbette di stagione  saltate in olio e rosmarino.