Introduco un argomento che voglio a più riprese sviluppare: la cucina come forma d’arte, una delle più creative e vitali forme d’arte che negli ultimi anni si siano viste.
Riflettere su questo argomento mi è venuto naturale, dopo aver letto il libro di G. Marchesi (scritto con Carlo G. Valli), Marchesi si nasce, ed. Rizoli, 2010, che ripercorre la vita di quello che, piaccia o meno, è il grande maestro della cucina italiana moderna. L’unico che abbia avuto un’influenza e abbia rappresentato un momento di rottura tale, da portare ad un ripensamento e ad un’evoluzione decisiva, persino rivoluzionaria, della nostra cucina, che si è trasformata in senso moderno e, appunto, in senso artistico nelle mani di Marchesi . Egli è uno dei pochi che riesca a trasformare la cucina in arte.
La cucina può essere arte. La preparazione di un piatto necessita delle stesse qualità di ogni altra forma d’arte: creatività e soprattutto una tecnica di base che supporti lo chef nella preparazione delle sue “opere”. Oggi un piatto prima di tutto è estetica sia in senso visivo, che poi più profondamente estetica del gusto. Ma la cucina si sviluppa in forme e con elementi strutturali che la portano ad essere un tipo d’arte a sé stante, diversa da ogni altra, probabilmente più vicina alla musica che non alla pittura o alla letteratura. Vedremo in altra occasione perché.
Partiamo piuttosto da una premessa, per segnare una linea di demarcazione che ci aiuti a capire cos’è arte in cucina e cosa no: Marchesi dice “ma non bisogna dimenticare che la cucina diventa arte quando rivela la sua straordinaria facoltà di mutare continuamente e di captare il momento che sfugge, per cogliere l’opportunità di sperimentare e di gustare cose nuove”.
Ed è qui che può generarsi l’equivoco più grande (presente anche nel mondo dell’arte in senso lato) in quel captare che ha significato fraintendibile. Seppure in premessa il discorso sia corretto ed abbia senso, molto dipende da chi lo sviluppa quel discorso in cucina, da cosa o come si capta. E’ importante capire lì dove evidentemente c’è arte, e di contro riconoscere lì dove piuttosto c’è “moda”, ossia operazione pedissequa, furbona, svuotata di ogni senso e valore (estetico, morale, qualitativo).
Un conto è creare arte, un conto è fare moda, seguire la tendenza. Non creare per necessità e passione, ma replicare per assecondare un gusto diffuso, cucinare per assecondare una tendenza, una linea di pensiero dominante, una linea di gusto dominante. Non sperimentare liberamente secondo le proprie convinzioni ed inclinazioni, ma seguire ciò che tira. Ed ecco un esempio, che porta a forme di cucina a mio avviso scorrette, perché si crea un rapporto distorto tra chef e cliente. Quest’ultimo viene male informato, male trattato da una cucina facilona e furbetta:
qualche anno fa attraverso la fusion (ma non solo), sempre più spesso in cucina si elaboravano ricette che avevano precisi rimandi con tradizioni gastronomiche diverse da quella italiana. Diventò di moda proporre piatti esotici rielaborati ed adattati al nostro gusto e al nostro fare cucina. Ebbene in molti contesti: ristorante, letteratura culinaria, trasmissioni televisive, all’improvviso qualsiasi tipo di fritto in pastella diventava automaticamente tempura giapponese. Tutti pronti a mostrare cos’è e come si fa, e quanto siamo creativi noi che vi diamo le castraure veneziane in tempura. Tra l’altro la tradizione italiana consta di una ricchezza in tipi di pastella che bisognerebbe scrivere un libro solo per cercare di raccoglierle tutte, ma non è questo il problema. Il problema non era tanto proporre (e rielaborare) un piatto giaponese facendogli incontrare, ad esempio, ingredienti tipici italiani, ma l’ignoranza di chi si improvvisava esperto di cucina giapponese, senza le dovute conoscenze, spacciando qualsiasi tipo di fritto per tempura, e quella non era di certo tempura. Moda: il nome tempura attira chi è curioso di novità, la tempura è diffusa, tutti ne parlano, tutti credono di conoscerla, allora ecco che la si propone in forme bastarde, ma soprattutto scorrette, solo per inseguire la moda del momento.
Ben diceva lo chef Vissani (visto qualche anno fa a La prova del cuoco) quando pretendeva che in cucina ogni piatto venisse chiamato con il suo nome esatto, e venisse calato nel contesto esatto, altrimenti si opera un’operazione scorretta nei confronti di chi mangia. Non si fa cultura, ma operazione commerciale.
Ma per capire meglio cosa sia moda e cosa arte, bisogna partire dal concetto di arte in cucina, osservandone rapidamente le sue caratteristiche…